Fabio Sperandio
Morti per avvelenamento: Johann Schobert (+ 1767) – compositore, Anton Fils (+ 1760) – compositore. Morti in un incidente aereo: Guido Cantelli (+ 1956) – direttore, Lodovico Lessona (+ 1972) – pianista, Ginette Neveu (+ 1949) – violinista. Morti per infortunio sul lavoro: Jean-Baptiste Lully (+ 1687) – compositore. Morti in incidente stradale: Dino Ciani (+ 1974) – pianista, Ernest Chausson (+ 1899) – compositore. Morti in manicomio: Hans Rott (+ 1884) – compositore, Robert Schumann (+ 1856) – compositore. Morti in scena per cause naturali: Dimitri Mitropoulos (+ 1960) – direttore, Giuseppe Sinopoli (+ 2011) – direttore, Giuseppe Patanè (+ 1989) – direttore, Hermann Scherchen (+ 1966) – direttore. Morte violenta: František Kočvara (+1791) – violinista e compositore, Claude Vivier (+ 1983) – compositore, Jean-Marie Leclair (+ 1764) – compositore, Alessandro Stradella (+ 1682) – compositore. Naufragio: Enrique Granados (+ 1916) – compositore, Morte accidentale: Anton Webern (+ 1945) – compositore. Morti suicidi: Bernd Alois Zimmermann (+ 1970) – compositore, Jean Barraqué (+ 1973) – compositore. Morti nei lager: Erwin Schulhoff (+ 1942) – compositore, Viktor Ullmann (+ 1944) – compositore, Pavel Haas (+ 1944) – compositore.
‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella. (Antonio de Curtis + 1967, attore, morto di infarto)
Morti avvolte nel mistero, improvvise, violente. Nemmeno la musica, elemento incorporeo che avvicina l’uomo all’essenza divina, risparmia i suoi ministri rendendo immortale ma sempre necessaria la loro dipartita e mette in scena storie drammatiche, fantastiche e talvolta addirittura comiche, che danno vita ad uno spettacolo in cui i musicisti stessi sembrano essere gli attori.
Difficile dire se un’esistenza più lunga avrebbe permesso a Ernest Chausson di dare maggiore respiro alla propria vena compositiva. La morte all’età di 44 anni non giovò certo alla sua carriera; tuttavia l’evento che pose fine alla sua vita, lo
scolpì nella memoria dei posteri accompagnato da una risata beffarda. Un banale incidente e la caduta in bicicletta si trasformò in tragedia. Chausson scivola in discesa e sbatte contro un muretto, morendo all’istante. Ne rimane il ricordo sotto forma di un monumento funerario nel cimitero di Père Lachaise, nella sua Parigi.
In fatto di notorietà, ben altro servigio il tristo mietitore ha fatto a František Kočvara (Praga 1750? – Londra 1791). Violinista e compositore ceco, stabilitosi a Londra dopo aver viaggiato e suonato in molte città d’Europa, si fece conoscere componendo la Battaglia di Praga, ma soprattutto passò alla storia per la sua dipartita a sfondo erotico con tinte noir. Il 2 febbraio 1791 Kočvara morì asfissiato mentre si intratteneva negli alloggi di una prostituta, Susannah Hill, in Vine Street. Kočvara ebbe con lei un rapporto sessuale dopo essersi messo al collo una fune legata alla maniglia della porta, che gli provocò l’asfissia. Susann Hill fu processata con l’imputazione di omicidio, ma venne assolta, in quanto la giuria prestò fede alla sua testimonianza. La verità è che il violinista si presentò a casa della Hill armato di forbici, con il preciso intento di farsi evirare, ma lei si rifiutò. La morte per asfissia fu solo un ripiego.
Dicono che muore giovane chi agli dei è caro. Tralasciando i soliti noti, non è andata bene al 35enne compositore canadese Claude Vivier, allievo di Stockhausen, pugnalato a morte la notte dell’8 marzo 1983 nel suo appartamento di Parigi. Il suo assassino era un escort-boy che Vivier aveva incontrato in un bar quella sera. Sul tavolo da lavoro fu rinvenuto il manoscritto dell’ultima opera incompleta di Vivier, Glaubst du an die Unsterblichkeit der Seele? (Credi nell’immortalità dell’anima?), un monologo in cui Vivier descrive un viaggio sulla metropolitana durante il quale viene attratto da un giovane uomo. La musica si interrompe bruscamente seguendo la frase: “Poi tolse un pugnale dalla sua giacca e mi pugnalò attraverso il cuore”. Perirono sotto i colpi della spada anche Alessandro Stradella e Jean-Marie Leclair.
Euterpe, musa della musica, ha il dono di elevare i defunti al grado di antenati, stabilendo un legame di continuità tra chi non c’è più e il mondo dei viventi e impedendone l’oblio attraverso l’opera d’arte. Biografie che si esauriscono in pochi anni, uomini dalla moralità discutibile, dediti all’alcol, amanti degli eccessi riconfermano implicitamente il patto mefistofelico che baratta il successo in cambio dell’anima, eroi terreni che mescolano il desiderio alla carenza di senso del limite, eredi di Faust e plasmati dalla tracotanza di chi si sovrappone alla vita e decide quando porne fine.
“Ehi, Mr. Lennon” disse Mr.Chapman prima di esplodere cinque colpi, l’8 dicembre 1980 a New York e uccidere John Winston Ono Lennon. I tempi sono cambiati e nel frattempo le armi da fuoco hanno avuto la meglio sulle lame.
Il giorno di Natale del 1954 Johnny Ace finisce la sua vita a ventidue anni con un buco in testa e passa inconsapevolmente alla storia come il primo dei “morti del rock”. Dopo di lui la lista delle morti violente si allunga all’infinito. Ricordiamo Kurt Cobain leader dei Nirvana che l’8 aprile 1994 si toglie la vita con un colpo di fucile, consacrandosi per sempre al culto dei fan.
Non possiamo non menzionare la cosiddetta Maledizione della J. Il primo caso è Brian Jones, chitarrista dei Rolling Stones, trovato morto sul fondo della sua piscina, la notte del 3 luglio 1969. Un anno dopo se ne va quello che viene considerato il più grande chitarrista di tutti i tempi: Jimi Hendrix, soffocato dal proprio vomito dopo una notte di eccessi tra alcol e barbiturici. A due sole settimane di distanza, il 4 ottobre 1970, muore una grande del rock, la 27enne Janis Joplin. A completare il quadro, il 3 luglio 1971, a due anni esatti dalla morte di Brian Jones, scompare Jim Morrison, in circostanze ancora misteriose. Il suo presunto corpo riposa al cimitero di Père Lachaise, sotto una lapide che recita il motto “fedele al suo spirito”.
Quasi a rivendicare un sacrosanto diritto sindacale a morire, esistono numerosi casi di decesso sul luogo di lavoro. La figura più colpita è quella dei direttori d’orchestra. Dimitri Mitropulos morì il 2 novembre 1960 alla Scala, poco dopo l’inizio delle prove della terza sinfonia di Gustav Mahler, Hermann Scherchen morì sul podio dell’Orchestra del Maggio Fiorentino nel 1966 mentre dirigeva L’Orfeide di Gianfrancesco Malipiero, Giuseppe Patanè morì per un attacco di cuore mentre dirigeva una rappresentazione de Il Barbiere di Siviglia all’Opera di Monaco di Baviera, Giuseppe Sinopoli morì a Berlino improvvisamente, stroncato da un infarto mentre stava dirigendo l’Aida di Giuseppe Verdi alla Deutsche Oper.
Il caso più celebre di infortunio sul lavoro, passato alla storia, appartiene a Giovanni Battista Lulli, fiorentino di nascita, naturalizzato francese, compositore, musicista, ballerino insigne in servizio alla corte del Re Sole. Durante un’ esecuzione del suo Te Deum si ferì con il pesante bastone usato per battere il tempo. Spinto forse da un moto di orgoglio per essere stato un eccellente danzatore, rifiutò le cure dei medici che prevedano l’amputazione della gamba ferita, ormai in cancrena. Sepolto nella chiesa di Notre-Dame-des Victoires a Parigi, il divenuto Jean Baptiste Lully, morì il 22 marzo 1687 dopo due mesi di agonia.
Tralasciando qui le storie più note di chi ha segnato la storia con la propria esistenza, come i compositori morti nei Lager, non possiamo però non citare ancora le disavventure di Johan Schobel, clavicembalista inviso a Leopold Mozart ma non ad Amadeus che faceva studiare ai propri allievi le sue sonate, e di Anton Fils, morto a ventisei anni, prolifico compositore tedesco, violoncellista dell’orchestra di Mannheim ai tempi di Stamitz , il primo per essere passato a miglior vita, insieme a moglie, figlio e domestica, avvelenato da funghi velenosi raccolti e cucinati inconsapevolmente con le sue stesse mani e il secondo per la malsana abitudine di mangiare ragni.
Alle volte poi, capita di essere la persona sbagliata al momento sbagliato.
La nave Sussex della compagnia navale francese salpò alle 13.15 con destinazione Dieppe. Un’ora e un quarto dopo, un sottomarino di guerra tedesco UB-29 intercettò l’imbarcazione e la scambiò per una nave da guerra, pertanto, verso le 14.50 lanciò un siluro che colpì il Sussex nel mezzo, spezzandolo a metà. Enrique Granados e signora si trovavano su quella nave a causa di imprevedibili ritardi che fecero perdere loro l’imbarcazione che doveva riportarli direttamente in Spagna. Granados, che non sapeva nuotare, morì cercando di portare in salvo la moglie che lottava tra le onde.
Affogamento o naufragio?
E cosa dire del povero Anton Webern che, come recita la vulgata, uscito di casa tre quarti d’ora prima del coprifuoco per fumare senza dare disturbo , venne ucciso per errore da un cecchino americano con tre colpi di pistola, il 15 settembre 1945?
E’ Orfeo che ci ricorda che due sono le fontane nell’Ade: Lete e Mnemosine. Ogni viaggio nell’aldilà è un viaggio nella memoria. Bevendo dalla prima si dimentica tutto della propria vita. Menmosine, non a caso madre delle Muse, Memoria, invece appare come una fontana di immortalità. Colui che nell’Ade conserva la memoria, trascende la condizione mortale. Sarà forse questa allora la ricetta per non essere dimenticati?
«Che abbiate paura o meno della morte, quel momento arriverà e il vostro corpo peserà ventuno grammi in meno. Quei ventuno grammi sono il peso dell’anima di una persona. E quel peso viene portato da coloro che sopravvivono» (dal film “21 grammi” di A.G. Inarritu).