Michele Ballarini
Passate davanti a Bongiovanni, Signori miei, e poi ditemi se vi riesce di andare oltre senza avere i timpani percossi o da un suonare pazzerellone e da una clamorosa discussione, o da colossali scoppi di risa. La Bologna musicale rende il suo tributo al tempio, la vita delle crome e delle biscrome petroniane si vive quasi esclusivamente fra le pareti laccate di questo cenacolo. Nell’ora bassa, elegante, del passeggio su e giù per quel corridoio che i vecchi bolognesi non sanno assolutamente chiamare con altro nome all’infuori di via Rizzoli, arrivano tutti. Quello li? Come non lo conoscete? Ma se è noto anche ai sassi! E’ Borgatti e, dice lui, e diciamo noi, il suo nome è la sintesi storica della propaganda trionfale della musica wagneriana in Italia. Per cui ha perfettamente ragione se si dà.. un po’ di arie e se porta quella bella e scompigliata zazzera bionda che fa fermare i buoni petroniani al suo passaggio.
L’altro è Ottorino Respighi, che tutti sanno essere un eccellente musicista, violinista, pianista, organista e chi più “ista” ha, più ne metta. Peccato che abbia anche delle manie! Per esempio, egli vuol sempre portare seco sulla propria testa la maschera di Beethoven, e per quanto gli sia stato detto, non ha mai voluto decidersi a togliersela. Una sua specialità è la trascrizione musicale. Ricordo tra l’altro il famoso Valse Blue trascritto alla Debussy: una cosa veramente originale. E’ pure inventore di un nuovo e assai strano sistema armonico, quello di due toni vicini di grado e sovrapposti. A tempo perso fa da interprete nel negozio Bongiovanni, quando questo è visitato da francesi, inglesi, tedeschi, russi, ungheresi. Si sussurra, per colmo, che egli conosca le … malelingue di nove nazioni… ora è fresco di una “semiramite” acuta!
Così scriveva, l’8 maggio del 1910, il critico Cesare Paglia sotto lo pseudonimo di Gaianus, in un articolo pubblicato sull’Avvenire d’Italia dal titolo “Il Cenacolo delle beffe”, scritto che descriveva, per mezzo di uno stile ironico e graffiante, lo spirito della Bologna musicale di quei tempi attraverso le figure più importanti che allora vi operavano. Tra di esse Ottorino Respighi (Bologna 1879-Roma 1936), musicista che appartiene ancor oggi a quel gruppo di autori universalmente conosciuti e famosi le cui opere formano la base del repertorio sinfonico di tutte le orchestre in ogni paese del mondo.
Respighi troverà a Roma, città nella quale si trasferirà nel 1913 dopo aver vinto il concorso per insegnare composizione all’allora Liceo di Santa Cecilia, l’ispirazione per comporre quei poemi sinfonici che gli daranno popolarità mondiale, ma è negli anni di formazione vissuti a Bologna che la sua personalità si sviluppa e si evolve in un mondo artistico che soprattutto nella seconda metà del Novecento si dimostra come uno dei più innovativi e avanzati nell’intero panorama musicale italiano. Una Bologna che già negli anni ’70 di quel secolo aveva ospitato la prima italiana del Lohengrin e che accolse, proveniente da Borgo San Donnino, allora toponimo dell’attuale Fidenza, Giuseppe Respighi (1840-1923), destinato a diventare un pianista di valore e un ottimo insegnante oltreché fervente wagneriano e che si unisce in matrimonio con Ersilia Putti, il cui padre Massimiliano e il nonno Giovanni sono da annoverarsi tra i più importanti scultori bolognesi.
Un ambiente famigliare raffinato e ricco di stimoli culturali nel quale il giovane Ottorino – come si diceva – ha modo di crescere dimostrando ben presto di possedere molteplici interessi già premonitori di una natura artistica di prim’ordine: un eclettismo nei gusti e nelle scelte che però non sconfina nell’occasionale o nel superficiale ma al contrario conduce a esiti mirati e approfonditi attraverso l’attento studio di varie zone dello scibile, dal modello di un’ antica galera riprodotto tale e quale in ogni particolare nel giardino di casa sua, all’interesse per la fisica che suscita un vivo apprezzamento da parte del grande scienziato Augusto Righi il quale, conosciuto un Respighi sedicenne durante una villeggiatura a Montese, gli permette di assistere ad alcuni esperimenti che egli sta realizzando in quel periodo.
Non precocissimo l’inizio degli studi musicali che sono però affrontati con la stessa pervicacia e lo stesso coinvolgimento, dallo studio del pianoforte cominciato a casa sotto la guida del padre il quale, dopo alcune sporadiche lezioni impartitegli, rimane meravigliato e stupito di sentirlo suonare con disinvoltura alcune variazioni di Schumann, all’entrata nel 1892 come allievo dei corsi di violino presso il Liceo musicale della sua città sotto la guida di Federico Sarti (1858-1921). Il Sarti, allievo di Carlo Verardi e attraverso Ferdinando Giorgetti, Giovanni Giuliani e Pietro Nardini erede diretto del grande magistero strumentale di Giuseppe Tartini, è componente, assieme al violinista Adolfo Massarenti, al violista Angelo Consolini e al violoncellista Francesco Serato, di quel Quartetto Bolognese che a cavallo tra i due secoli si distinguerà come uno dei migliori complessi cameristici italiani.
L’abilità di Respighi violinista non tarda a rivelarsi, e ne è fattiva testimonianza il grande successo che il Nostro consegue alle soglie del diploma, eseguendo impeccabilmente Le Streghe di Paganini nel corso di un saggio tenutosi al Liceo musicale nel giugno del 1899. L’interesse di Respighi per gli strumenti ad arco e le loro tecniche esecutive si stempera anche attraverso lo studio e la passione per la liuteria – passerà molto del suo tempo libero nella bottega del famoso liutaio Raffaele Fiorini per studiare forme, legni e vernici – e per la pratica legata alla viola e alla viola d’amore, strumenti che padroneggerà con la stessa perizia del violino e che gli consentiranno di essere assunto in orchestra e di far parte di prestigiosi complessi cameristici.
Segue di qualche anno, nel 1896, l’inizio dello studio della composizione: studio severo e costante sotto la guida prima di Luigi Torchi, antesignano del recupero e dello studio di musiche dei secoli passati, e poi con Giuseppe Martucci, artefice di quella rinascita strumentale italiana che si delinea verso la fine del secolo in un mondo musicale dominato pressoché totalmente dall’opera lirica, nonché continuatore a Bologna di quelle tradizioni wagneriane che culmineranno nel 1888 con la prima esecuzione del Tristano e Isotta da lui diretto.
Già dai primi anni, come testimoniano numerosi manoscritti pervenutici, Respighi dimostra di aver approfondito e studiato forme e repertori di varia natura e provenienza, dagli autori del periodo barocco presenti negli archivi cittadini – ai quali dedica molto del suo tempo riproponendoli attraverso sue trascrizioni e rielaborazioni – agli autori più importanti del suo tempo, cominciando così a dar forma ad un corpus compositivo che, filtrato attraverso le molteplici succitate esperienze e al riparo da inutili effettismi, arriva a far vivere con singolare freschezza e convinzione un linguaggio che si innesta su quella strada del rinnovamento strumentale già tracciata e percorsa dal suo maestro Martucci.
Né mancheranno, quasi a titolo di affettuoso e ironico omaggio alla città natale, rimandi di più smaccato sapore popolare come, tra le prime composizioni, l’Ouverture per pianoforte a quattro mani Gösdemlan (1897), letteralmente scorze di melone, basata su di una cantilena che gli straccivendoli di quei tempi gridavano per le strade di Bologna allo scopo di richiamare l’attenzione degli abitanti al loro passare, nel caso avessero dei gusci di melone da buttar via, Gös de mlan da trer zò, da trer zò, da trer zò… ; a suggello della presa in giro, un improbabile 000 come numero d’opera e l’anagramma dell’autore che si firma pomposamente Heirpighs Otto.
Già da questi primi esiti si ravvisa un tratto compositivo sicuro e sempre sorretto da un gusto raffinato, tanto da evitare il corrivo e il salottiero, aspetti questi spesso presenti nei repertori di autori a lui coevi: se gli archi occupano un posto importante con parecchie composizioni per violino e pianoforte o orchestra e con alcuni quartetti, non meno significativi sono i brani per pianoforte e le liriche per canto. Già l’orchestra comunque inizia a costituire un profondo interesse per il Nostro, che al volgere del nuovo secolo, ancora negli ultimi anni di scuola, rivolge le sue attenzioni al genere sinfonico-corale con la cantata Christus e alla sola orchestra scrivendo le Variazioni Sinfoniche, lavori che dimostrano una natura di musicista già pienamente formata e pronta per altri e più impegnativi traguardi.
Dall’inizio del Novecento, periodo che vede il termine dei suoi studi, Respighi entra a far parte dell’Orchestra del Teatro Comunale in qualità di prima viola, qualifica che gli permetterà ben presto di accettare lo stesso ruolo nei teatri imperiali di Mosca e San Pietroburgo; il soggiorno di parecchi mesi in Russia gli dà anche la preziosa opportunità di ricevere alcune importantissime lezioni da Nikolai Rimskji-Korsakov. Questo rapporto saltuario con il grande musicista russo, che il Nostro considerava comunque importantissimo, non fa che completare quella stupefacente abilità del Respighi orchestratore, da lui stesso in età matura giustificata come parte integrante del suo pensiero musicale e non come posteriore rivestimento di esso.
Al ritorno a Bologna, nel giugno del 1901, Respighi si diploma presentando il Preludio, Corale e Fuga per orchestra, una composizione di notevole valore nella quale una chiara e sicura concezione formale e una perfetta orchestrazione fanno da struttura portante a un’invenzione melodica e a una ricchezza armonica di assoluto rilievo; complementare a tutto ciò, ma non per questo di secondaria importanza, è un altro aspetto della versatilità di Respighi e cioè la facilità nell’apprendere le lingue straniere – nel corso della sua vita arriverà a parlarne correntemente ben undici – pratica che permette al giovane musicista di divenire cittadino del mondo a tutti gli effetti e, in ambito locale, di entrare in contatto con molti stranieri residenti a Bologna in quel periodo, tra i quali Anatolji Lunačarskji, futuro direttore del Commissariato del popolo per l’Istruzione durante il governo di Lenin e il belga Felix Sluys, allora ospite del Collegio Fiammingo e poi direttore di una clinica privata a Bruxelles nella quale nel novembre del 1924 verrà operato purtroppo senza successo Giacomo Puccini.
Nel 1906 il Nostro collabora per un breve periodo come violista nel Quintetto Mugellini, e in questo ambito l’attività di esecutore si fonde con quella compositiva: scriverà infatti un Quintetto per archi e pianoforte che verrà presentato con ottimo successo a Bologna e in altre città italiane. Di pari passo con la musica strumentale, Respighi continua a essere interessato a quella vocale, scrivendo alcune liriche che verranno apprezzate dai pubblici di tutto il mondo e che si possono annoverare tra le cose migliori del suo catalogo; Nebbie (1906), su testo di Ada Negri, arriverà a popolarità imperitura ed entrerà nel repertorio dei più grandi cantanti. Non poteva però, in queste esplorazioni dei diversi generi strumentali e vocali, mancare l’opera lirica: la prima esperienza di Respighi in questo campo è costituita da Re Enzo, opera comica in tre atti su libretto di Alberto Donini e rappresentata al Teatro del Corso il 12 marzo del 1905. Il lavoro, di carattere prettamente petroniano, alterna numeri musicali a interventi parlati per cui furono coinvolti, oltre ai cantanti, anche alcuni goliardi bolognesi e il famoso canzonettista dialettale Carlo Musi.
L’opera ebbe un franco successo ma l’autore, forse considerandola un lavoro d’occasione limitato al contesto bolognese, non ne permise mai altre rappresentazioni; una ripresa nel 2004 ne ha confermato comunque la validità anche al di là di questi aspetti, con una parte musicale che si è rivelata di estremo interesse, anticipando già con sicurezza quegli aspetti melodici, armonici e teatrali che costituiranno il linguaggio del Respighi operista negli anni della maturità. Altro importante esito di questi anni è Semirama, opera in tre atti su libretto di Alessandro Ceré, che vide la luce al Teatro Comunale il 20 novembre del 1910: interpretata da cantanti di grande fama come il soprano Elsa Bland e il tenore Giuseppe Borgatti e diretta da Rodolfo Ferrari, questo poema tragico ebbe numerose recensioni per la maggior parte lusinghiere e positive, costituendo, di fatto, la prima importante affermazione del giovane musicista nell’ambiente lirico italiano.
Gli anni passano e il 1913 è ormai alle porte; il trasferimento a Roma sarà il trampolino di lancio per affermare Respighi come compositore di fama mondiale ma costituisce per il musicista un iniziale trauma: la solitudine e il silenzio della casa paterna, dove si trova lo studio operoso nel quale l’ispirazione fluisce ininterrotta, sono ormai lontani e la Città Eterna, nella sua grandezza e maestosità, sembra respingere la natura riservata e contemplativa del Nostro. Solo negli anni seguenti, segnati dalla dolorosa perdita della madre e dal successivo matrimonio con l’allieva Elsa Olivieri Sangiacomo, Respighi troverà a Roma quella pace interiore e quell’ambiente a lui ideale per continuare la sua opera di musicista.
La Trilogia Romana – Fontane, Pini e Feste – assieme ad alcune serie di trascrizioni di musiche antiche, rimarrà continuativamente in repertorio conferendo al Nostro la posizione di maggior musicista di inizio ‘900 più eseguito al mondo dopo Giacomo Puccini; oggi invece, scongiurata quella molto discutibile tendenza tutta nostrana ad eliminare dal repertorio per decenni quasi tutta la produzione musicale novecentesca non afferente ai dettami della seconda scuola di Vienna e delle avanguardie, la graduale riscoperta dell’opera di Respighi negli anni precedenti al periodo romano, ad opera di vari e spesso insigni interpreti e del lavoro preziosissimo e instancabile del musicologo e studioso Potito Pedarra, contribuisce in maniera esaustiva e necessaria a delineare a tutto tondo la figura di questo artista bolognese, figura tra le più importanti dell’intera storia della musica italiana.